La responsabilità penale della persona fisica non comporta automaticamente la responsabilità amministrativa dell’ente
La Suprema Corte (Cass. pen. 43656/2019) cassa la statuizione dei giudici di merito sulla responsabilità amministrativa dell’ente ex artt. 5, comma 1, lett. a) e 25-septies D.lgs. 231/2001, stante la totale omissione della “valutazione sul contenuto e sulla idoneità del modello organizzativo”.
Il caso di specie concerne la morte di un operaio, rimasto ucciso in un cantiere edile durante l’utilizzo di una macchina palificatrice, a causa del crollo della pavimentazione sotto il peso del mezzo. L’istruttoria processuale acclarava che il cedimento era stato determinato dall’assenza di adeguata copertura del suolo con assi di legno e lamiere.
I giudici di entrambi i gradi di merito riconoscevano la responsabilità del datore di lavoro e del capo cantiere preposto per non aver “fornito ai lavoratori una specifica informativa sull’esistenza di rischi e sulle modalità di prevenzione degli stessi, oltre che nella mancata predisposizione di mezzi idonei a prevenire i rischi e nel non avere esercitato la necessaria vigilanza al fine di assicurare l’osservanza delle norme antinfortunistiche da parte dei lavoratori”. Nella specie si riscontrava la manifesta inadeguatezza e vaghezza del programma operativo di sicurezza (“P.O.S.”). Il documento infatti era stato aggiornato, con l’indicazione specifica di tutte le operazioni da attuare per tutelare l’incolumità dei lavoratori, soltanto dopo l’infortunio.
I giudici di merito ravvisavano, poi, la responsabilità amministrativa della Società, “per non avere operato tempestivamente ed efficacemente per prevenire la commissione del reato di omicidio colposo”.
Pronunciandosi sul ricorso proposto dal capo cantiere e dalla Società, la Corte ritiene fondate solo le prospettazioni difensive della Società con le quali si evidenziava che i Giudici di Appello si erano limitati “a scarne considerazioni sul P.O.S., ritenuto inadeguato” negligendo totalmente l’esistenza di un modello di gestione e controllo ex D.lgs. 231/2001 (“MOG”; adottato in epoca antecedente all’infortunio occorso).
La Corte conviene con le argomentazioni della Società, chiarendo che non è ammissibile “l’equazione “responsabilità penale della persona fisica datore di lavoro/preposto = responsabilità amministrativa dell’ente”, trascurando l’articolata disciplina posta dal D.Lgs. n. 231 del 2001“. Conferma la carente valutazione su contenuto e idoneità del MOG, “che è cosa diversa” dal P.O.S., unico documento considerato dai giudici di merito.
Afferma, quindi il principio secondo cui “In tema di responsabilità degli enti derivante da reati colposi di evento in violazione della normativa antinfortunistica compete al giudice di merito, investito da specifica deduzione, accertare preliminarmente l’esistenza di un modello organizzativo e di gestione […]; poi, nell’evenienza che il modello esista, che lo stesso sia conforme alle norme; infine, che esso sia stato efficacemente attuato o meno nell’ottica prevenzionale, prima della commissione del fatto“.
La pronuncia in parola mette in luce l’importanza della corretta predisposizione, adozione ed efficace attuazione di un MOG, volto alla prevenzione dei reati-presupposto previsti dal D.lgs. 231/2001 e, perciò, idoneo a escludere o ridurre il rischio sanzionatorio per l’ente.
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