Emissione di fatture per operazioni inesistenti: per integrare il reato basta il compimento dell’atto tipico
Il caso oggetto della sentenza (Cass. pen. 8088/2020) concerne un “collaudato meccanismo di frode” a fini di evasione, predisposto da alcune soggetti mediante l’utilizzo di una società “cartiera”.
La Suprema Corte, conferma la sentenza d’appello con la quale, tra l’altro, è stata sancita la responsabilità di alcuni degli imputati per il reato di emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti ex art. 8, d.lgs. 74/2000.
La Corte nel confutare la prospettazione di uno dei ricorrenti – che sosteneva la regolarità dell’operazione di compravendita di beni, confluita in un’unica fattura – chiarisce che per integrare la fattispecie di cui all’art. 8, d.lgs. 74/2000, è “sufficiente il mero compimento dell’atto tipico”, e quindi l’emissione di fatture concernenti operazioni inesistenti (evenienza acclarata dal giudizio di merito – vista la natura manifestamente fittizia dell’operazione).
Ciò “a prescindere dall’entità dell’illecito risparmio fiscale ottenuto” stante la “natura di reato di pericolo astratto” della fattispecie in parola.
Neppure il “modesto importo riportato in fattura” vale a escludere la responsabilità ex art. 8 cit.
Perciò, la Corte disattende pure la tesi di altro ricorrente, sulla carente offensività della condotta, richiamando quanto già illustrato dai Giudici di appello: la natura di reato di pericolo astratto anticipa la “soglia di punibilità al solo pericolo di evasione sì che l’incidenza della condotta su primari interessi collettivi non possa ritenersi mai inoffensiva”.
E ciò, anche alla luce della recente pronuncia della Corte costituzionale (n. 95/2019) con cui è stato chiarito che le ipotesi p.e p. dagli artt. 2 e 8 d.lgs. 74/2000, prive di soglie di punibilità, attestano che il legislatore correla l’uso di “falsa fatturazione intesa a comprovare operazioni in tutto o in parte non eseguite” a uno “spiccato coefficiente di insidiosità per gli interessi dell’erario”. La Consulta spiega, infatti, che “L’emissione di documentazione per operazioni inesistenti viene, infatti, punita ex se, indipendentemente dalla concreta utilizzazione del documento falso da parte di terzi a scopo di evasione fiscale. Si è, dunque, di fronte a una precisa strategia, espressiva dell’ampia discrezionalità del legislatore in materia di politica criminale”.
La Suprema Corte, pertanto, ritiene manifestamente infondata la questione di costituzionalità ventilata dal ricorrente in relazione al tema dell’offensività e alla mancanza di soglie di punibilità.