Associazione a delinquere: responsabilità 231 sussiste anche quando i reati fine realizzati non siano reati-presupposto
La Cassazione (n. 8785/2020) torna sul tema della configurabilità della responsabilità dell’ente, ai sensi dell’art. 24-ter, D.lgs. 231/2001 (“Delitti di criminalità organizzata”), nel caso in cui i reati-fine del reato associativo non siano annoverati nel catalogo dei reati-presupposto previsto dal D.lgs. 231/2001 stesso.
La sentenza in parola sembra ribaltare quanto affermato in precedenza dalla giurisprudenza (cfr. Cass. pen. 3635/2014, a mente della quale la rilevanza di fattispecie non inserite nel catalogo dei reati presupposto non può essere “indirettamente recuperata, ai fini della individuazione del profitto confiscabile, nella diversa prospettiva di una loro imputazione quali delitti-scopo del reato associativo contestato”, altrimenti l’art. 416 c.p. “diverrebbe in una disposizione “aperta”, dal contenuto elastico, potenzialmente idoneo a ricomprendere nel novero dei reati-presupposto qualsiasi fattispecie di reato” in violazione del principio di tassatività del sistema sanzionatorio previsto dal decreto 231).
La Suprema Corte chiarisce che i reati fiscali (ex art. 2 D.lgs. 74/2000, che all’epoca dei fatti non erano stati ancora inseriti nel catalogo dei reati presupposto; cfr. ora art. 29-quinquiesdecies D.lgs. 231/2001), posti in essere per realizzare il programma criminoso, vengono in rilievo “non al fine di valutare la responsabilità della persona giuridica per ciascuno di essi, ma solo nei limiti in cui i medesimi abbiano apportato un vantaggio patrimoniale alla societas sceleris e, dunque, possano consentire di individuare il profitto conseguito ai fini della confisca”.
La Corte ritiene, infatti, corretta l’impostazione dei Giudici di merito secondo cui “se l’ente non potesse essere ritenuto responsabile ex art. 24-ter perché l’associazione posta in essere è finalizzata al compimento di reati extra catalogo, l‘articolo in esame sarebbe totalmente svuotato di qualsiasi capacità punitiva, nell’ipotesi in cui sussista comunque una associazione criminosa così come configurata dall’art. 416 c.p.”.
Secondo la Cassazione, quindi, l’ente è ritenuto responsabile non per i reati-fine commessi, bensì per la partecipazione attiva all’associazione criminale all’origine di tali attività illecite, integrando l’ipotesi prevista dall’art. art. 24-ter, D.lgs. 231/2001.
Ne discende che, ai fini della individuazione della responsabilità “a monte” dell’ente ex art. 24-ter D.lgs. 231/2001, non ha alcun rilievo l’evenienza che “gli illeciti realizzati dai sodali non siano riconducibili ai reati-presupposto”.