D.lgs.231/01 | Responsabilità dell’Ente anche per i reati colposi
La Corte di Cassazione, condannando una società per il reato presupposto di superamento dei limiti tabellari per lo scarico di acque reflue industriali, ha ribadito, come già sancito in precedenti sentenze in materia di sicurezza sul lavoro, la sussistenza della responsabilità dell’ente anche in relazione ai reati colposi.
La società condannata, ricorrendo in Cassazione contro la precedente condanna in secondo grado, sosteneva che la natura colposa del reato non fosse logicamente conciliabile con i requisiti di interesse o vantaggio per la società, requisiti invece necessari, ai sensi dell’art. 5, comma 1 del d. lgs. 231/2001, per imputare il fatto all’ente.
La Corte, invece, concentrandosi sugli effetti concretamente derivati dalla realizzazione dell’illecito, ha rimarcato che l’interesse o il vantaggio per la società nei reati colposi si concretizza sia nel risparmio economico per l’ente – determinato dalla mancata adozione di impianti o dispositivi idonei a prevenire il superamento dei limiti tabellari –, sia nell’eliminazione di tempi morti cui la predisposizione e manutenzione di detti impianti avrebbe dovuto dare luogo, con economizzazione complessiva dell’attività produttiva, indipendentemente dalla volontà di ottenere il medesimo interesse o vantaggio.
Nello statuire ciò, la Corte applica principi già in precedenza sviluppati in relazione ai reati colposi in materia di sicurezza sul lavoro, chiarendo dunque – laddove necessario – che anche i reati di natura colposa in materia ambientale rientrano a pieno titolo tra i reati presupposto, idonei a generare la responsabilità dell’ente.
Si sottolinea pertanto l’importanza della considerazione di tali reati durante le fasi del risk assessment e dell’inserimento degli stessi all’interno del modello di organizzazione e gestione ex d. lgs. 231/2001.
Si ricorda infatti che, qualora sia accertata la commissione di un reato presupposto ex d. lgs. 231/2001, l’ente andrà esente da responsabilità nell’ipotesi in cui prova, tra l’altro che l’organo dirigente ha adottato ed efficacemente attuato, prima della commissione del fatto, modelli di organizzazione e di gestione idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi e che in mancanza dell’adozione dei modelli organizzativi la responsabilità amministrativa della società è sempre sussistente, sulla base dell’inversione dell’onere della prova che grava sulla società.
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